Ancora una pillola di #FEELosophia. Paolo Furia e la keyword di oggi: “Verità”

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Una delle parole più affascinanti e terribili dell’umanità è “verità”. È la ricerca della verità ad animare lo scienziato che vuole rivelare il funzionamento di un fenomeno, lo storico che vuole accertare i fatti avvenuti nel passato, il giornalista che vuole raccontare gli eventi con precisione, il familiare di una vittima di omicidio che cerca disperatamente di sapere il perché di quel gesto.

E tuttavia, nel nome della verità si sono commessi i crimini più odiosi. Si sono uccisi coloro che erano considerati bugiardi: gli eretici, gli empi, i diversi. Si sono emarginate le minoranze religiose o politiche. Proprio questi abusi perpetrati nel nome della verità hanno determinato una grande diffidenza nei riguardi di questo concetto. Oggi, parlare di verità con leggerezza suscita nei più accorti qualche sospetto.

In quanto ricerca, anzi, amore per il sapere, la filosofia è sempre stata molto attenta alla questione della verità. Anche la ricerca dell’essere è parente della ricerca della verità, al punto che nella scorsa rubrica abbiamo parlato di “essere vero” in quanto contrapposto all’apparenza. La fiducia dei primi filosofi era che attraverso la ragione si potesse arrivare a discernere con precisione il falso dal vero.

Il filosofo era colui che, avendo raggiunto la verità, sviluppava un giudizio più equilibrato, un temperamento più saggio, un atteggiamento più sereno. Ma il filosofo era anche colui che sapeva come questo cammino verso la verità fosse tutt’altro che scontato. Più che dal raggiungimento della verità, il filosofo si caratterizzava per la sua ricerca. Una ricerca che costa molto.

Gli uomini vivono infatti normalmente nell’opinione soggettiva, e non nella verità. Secondo Platone, come degli schiavi incatenati in una caverna, ci muoviamo in un mondo di ombre scambiandolo per vero: ma siamo affezionati a queste catene, a queste ombre, perché è comodo prenderci in giro, stare nell’agio delle nostre consolidate convinzioni o nel solco del “si fa e si dice”, senza preoccuparci davvero della verità.

Cercare la verità significa spezzare quelle catene, uscire alla luce del sole per incontrare le cose vere: ma costa fatica, disciplina, volontà di mettersi in gioco.

Il buon filosofo non crede mai di parlare dal lato della verità, bensì dal lato di chi la cerca, a qualsiasi costo. Ad un certo punto delle sue riflessioni, Aristotele scrive “Amo Platone, ma amo di più la verità” e si dedica ad una critica nei confronti di alcuni aspetti del pensiero del maestro. Platone è un grande del pensiero, ma come ogni essere umano non è infallibile.

È dunque possibile tentare di correggerlo. Ma non c’è niente di più nocivo e pericoloso che credere di aver raggiunto una verità definitiva. Questa pretesa è l’anticamera di ogni forma di fondamentalismo, di ogni dittatura, di ogni solitudine.

Paolo Furia

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