“Slow fashion” e tradizioni, la Media di Pettinengo selezionata anche quest’anno al Festival dell’Innovazione scolastica di Valdobbiadene

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Ogni anno, un comitato scientifico seleziona 20 scuole di tutta Italia che si sono contraddistinte per le loro esperienze di innovazione scolastica e dà loro l’opportunità di presentare i propri progetti al Festival dell’Innovazione scolastica di Valdobbiadene.

Si tratta di un’occasione importante e prestigiosa non solo per condividere il proprio operato con altre realtà, ma anche per apprendere e approfondire dagli altrui progetti.

«Siamo estremamente soddisfatti – spiega la professoressa Stefania Fornaro (foto qui accanto), referente del progetto alla scuola media di Pettinengo – per aver ottenuto un riconoscimento così importante per due anni consecutivi che ci permette di portare lustro alla nostra piccola scuola di montagna. Uno dei temi proposti dal Festival che abbiamo deciso di sviluppare quest’anno è stato il seguente: Fuori-scuola: valorizzare i territori e il loro patrimonio, reinventare il dialogo con la comunità».

«Nelle classi della nostra scuola secondaria di primo grado – continua la referente -, abbiamo realizzato una serie di laboratori per approfondire la storia locale del nostro paese e abbiamo messo a confronto il paesaggio del passato, del presente e del futuro. Per intraprendere questo percorso, ci siamo concentrati su un sentiero chiamato “dei Tessitori”. Abbiamo scoperto che i nostri avi erano allevatori di pecore, commercianti di castagne e tessitori. I pettinenghesi erano persone profondamente radicate nel loro territorio ed erano sempre pronti a mettersi in gioco, affinché Pettinengo fosse un paese di montagna dinamico. Nel nostro panorama domina il castagno e abbiamo scoperto che esiste un piatto, per cui Pettinengo era famoso: il mactabe, un alimento a base di castagne, latte e riso».

Oggi il paese è conosciuto come “il balcone del Biellese”. Il visitatore rimane sempre incantato dal panorama, ma un paesaggio non è dato solo dalle sue bellezze naturali, per comprenderlo a fondo bisogna percepire il profumo delle castagne che si diffonde da ogni casa. Il paesaggio è determinato dagli abitanti e dal loro “paesaggio interiore”, cioè un paesaggio che diventa simbolo ed espressione di un’esperienza territoriale.

«Siamo rimasti talmente incuriositi dal valore metaforico portato dall’odore che abbiamo provato a preparare a scuola il mactabe – spiega la prof Fornaro -. Un altro soggetto di studio riguardava il toponimo della nostra frazione: Livera. In tempi antichi, pare che nei boschi si fossero stanziati branchi di lupi e i nostri antenati non erano felici della presenza di predatori; perciò per proteggere le greggi, essi costruirono delle “luvere”: delle trappole».

Ma come mai il sentiero si chiamava “dei Tessitori”? Molti allevatori, mentre pascolavano gli animali, cominciarono a lavorare la lana con i ferri e iniziarono a realizzare calzetti. Alcuni furono così intraprendenti che non solo vendettero i loro prodotti nei mercati piemontesi, ma divennero calzettai a tempo pieno e riuscirono a fornire all’esercito sabaudo un ordine di 10mila calzetti.

Nell’Ottocento iniziarono a sorgere le prime aziende che crebbero in tutto il territorio fino al XX secolo, periodo in cui il Biellese divenne una vera e propria capitale della moda. Il paesaggio del passato era antropizzato e rustico; la popolazione collaborava e lavorava instancabilmente per un obiettivo comune. Ma cos’è rimasto nel paesaggio del presente? Cos’è cambiato?

Dove un tempo la gente lavorava attivamente producendo materiali, oggi ci sono rovine, vestigia del passato; quella che un tempo era una fabbrica che dava lavoro a tessitori, oggi è uno dei più significativi esempi di architettura industriale ottocentesca.

«Purtroppo – aggiunge ancora la referente -, la nostra era digitale ha spazzato via l’idea di comunità! Attualmente, molti sentieri sono stati ripuliti e sono diventati percorsi turistici per il trekking, dove possiamo farci rapire da innumerevoli suggestioni: ma basterà rendere turistici questi paesaggi per farli sopravvivere? E come vorremmo che fosse il paesaggio del futuro? La nostra scuola si è voluta impegnare in questo senso. Abbiamo preparato dei brevi sketch in cui abbiamo fatto rivivere usi e costumi del passato. Due nostre allieve si sono preparate per diventare guide turistiche, spiegando l’importanza del nostro patrimonio; inoltre, abbiamo realizzato delle installazioni in legno di animali autoctoni che inseriremo nel bosco».

Gli studenti hanno pensato che per tutelare il paesaggio del futuro, sarebbe stato fondamentale far sentire la loro voce, pensando di proporre il territorio come capitale della “Slow fashion”. La sostenibilità ambientale è sicuramente una strada fondamentale da intraprendere per salvaguardare il paesaggio: siamo noi, attraverso le nostre scelte, che lo determiniamo. Dovremmo riscoprire “il senso del luogo” per diventare una comunità, come lo era per i nostri avi ed esportare questa buona pratica.

«Abbiamo deciso di ripartire dal tessile, organizzando a scuola uno “Swap party”. Gli studenti hanno dato nuova vita ai vestiti che indossano, non solo riciclandoli, ma anche ricavando, da vecchi indumenti, degli “scrunches” e delle borse. Successivamente abbiamo organizzato una sfilata di moda presso Villa Piazzo, chiedendo la collaborazione dell’Associazione “Pace e futuro”; abbiamo coinvolto importanti aziende e negozi del territorio, che ci hanno prestato i loro capi d’abbigliamento per permetterci di diffondere la nostra idea: abbiamo promosso la moda lenta con lo stesso zelo con cui i nostri avi creavano calzetti e majun», conclude Stefania Fornaro.

c.s.

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