Non ci resta che il calcio? La Nazionale azzurra dà vita all’ennesimo rito catartico, che unisce proprio tutti: e Biella esplode di gioia!

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È stato bello, bellissimo!!! Al di là della vittoria sull’Inghilterra, al di là dei vari significati geopolitici che al trionfo azzurro sono stati attribuiti. C’è chi dice che sconfiggendo ai rigori la selezione di Sua Maestà, l’Italia abbia consolidato la Brexit, relegando, anche nello sport, l’Isola britannica alla propria, tanto desiderata, solitudine. Può essere, ma in questo momento poco ci interessa.

Non è questo il punto.

Il punto è che dopo tanto tempo, e dopo l’aperitivo contro la Spagna, Biella e l’Italia intera sono tornate a fare festa. A tifare, a cantare tutti insieme l’Inno di Mameli, a soffrire (lottando contro le zanzare) per quelle 11 maglie azzurre che difendevano il tricolore, il calcio italiano, nel tempio londinese del football britannico. Nella “tana” di quelli che il calcio lo hanno inventato.

A Biella, piazza Duomo era come una piccola arena, con al centro i posti a sedere (ben 700, su prenotazione, andati esauriti in poche ore) e tutt’intorno una marea di persone in piedi, dietro le transenne, che non ha rinunciato alla partita sul maxischermo predisposto dall’Amministrazione comunale.

Il sindaco Corradino sul palco prima dell’inizio di Inghilterra-Italia

Ma soprattutto una coloratissima moltitudine di giovani. Ragazzi e ragazze biellesi, molte e molti dei quali biellesi “d’adozione”, di prima o seconda (magari anche terza) generazione, hanno trepidato accalcati. Piccola, speriamo, nota negativa in termini di distanziamento anti Covid: abbiamo visto veramente pochissime mascherine correttamente indossate, sia tra i posti a sedere che fuori; quanto a distanziamento… vabbè, lasciamo perdere.

Noi, comunque, eravamo lì in mezzo. Nel cuore del tifo “made in Biella”, da osservatori, certo, ma anche – assolutamente – da tifosi. Eravamo lì, a scambiarci pacche sulla schiena, a fine partita, con il sindaco Claudio Corradino, uno con il quale, di solito, non andiamo troppo per il sottile. Ma il bello è proprio questo. Tutti, proprio tutti, dopo i mesi terribili della pandemia, hanno il diritto di staccare un po’ la spina. Dai problemi, dalle cose che non vanno come dovrebbero, da una quotidianità diventata talvolta soverchiamente complessa, e complicata.

Vincere a Wembley, davanti a uno stadio straripante di supporters “bianchi” – diciamocelo – è stata una libidine immensa. E dire che il gol di Luke Shaw, dopo appena due minuti dal fischio d’inizio, è stato davvero una doccia freddissima, un gap difficile da colmare, che ha fatto penare gli Azzurri fino al pareggio (correva il minuto 67), meritatissimo peraltro, di Leonardo Bonucci. Da quel momento in poi, gli uomini di Gareth Southgate, il ct inglese, sono quasi spariti dal rettangolo di gioco.

Poi, le manone del gigante “Gigio” Donnarumma hanno fatto il resto, negando ai rigoristi di casa (tra l’altro appena entrati in campo: dura calciare il penalty di una finale degli Europei letteralmente a freddo) la gioia del gol e regalando al Bel Paese una notte magica.

Proprio la sera di quell’11 luglio che nella memoria di chi ha qualche hanno in più riporta alla vittoria dei Mondiali di Spagna del 1982.

Non ci resta che il calcio? Per una sera sì, che sarà mai? Per litigare, arrabbiarci, sacramentare, piove governo ladro, la variante Delta fa paura, a settembre ci richiudono, Conte e Grillo hanno fatto pace, FdI primo partito, eccetera, c’è sempre tempo.

Grazie, Azzurri!!!

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