Dal Rifugio degli Asinelli a Finisterre lungo il Cammino di Santiago: quasi 1000km a piedi per la biellese Ilaria Ruzza

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Chi di noi non ha un “luogo dell’anima”? Quel posto in cui riusciamo a deporre angosce e fatiche del nostro quotidiano vivere per sentirci nuovamente a casa. Dove la casa, in verità, siamo noi stessi. Quel luogo che ci permette di fare pace con i nostri sensi, di lasciarci alle spalle il mondo che ci circonda e di tornare alla nostra vera essenza, per ritrovare una serenità perduta e rinfrancare il nostro cuore e la nostra mente. Un posto tutto nostro, che riconosciamo come tale, al quale sentiamo, ogni tanto, il bisogno viscerale di tornare.

L’arrivo a Santiago de Compostela

Per qualcuno, questo luogo meraviglioso è appena dietro casa, per qualcun altro, invece, può essere anche molto distante. E il viaggio per arrivarci fa parte di un rituale che conduce alla meta. Per la 37enne biellese Ilaria Ruzza il luogo dell’anima è costituito da un intero percorso, a tappe, oltre 30, per un totale di circa 900 chilometri, lungo il Cammino di Santiago: da Seant-Jean-Pied-de-Port, sui Pirenei francesi, fino a Finisterre (in Galizia), sull’Atlantico, passando per Santiago de Compostela, appunto.

Una distanza considerevole, che migliaia di pellegrini percorrono ogni anno impiegando oltre un mese del loro tempo, camminando ogni giorno. Ilaria, però, non aveva tutto quel tempo a disposizione. Lavora da quasi 11 anni al Rifugio degli Asinelli di Sala Biellese e doveva contenere il suo Cammino nel limite massimo di 30 giorni. Ma lei, che è abituata a camminare sulle nostre montagne, non si è certo lasciata scoraggiare dai tanti chilometri che avrebbe dovuto mettere sotto i piedi per completare la sua “impresa” (definizione virgolettata perché non le piace proprio, anzi, si arrabbia un sacco…).

La soluzione, volendo, si trova sempre. Per lei si è trattato di comprimere il numero di tappe, aumentando la media giornaliera di chilometri percorsi: da una media standard di circa 25, alla sua, che superava i 35. Detto, fatto. Anche con qualche difficoltà dovuta all’affaticamento del tendine tibiale della gamba destra. Ma ha saputo stingere i denti, Ilaria. E completare il suo Cammino, percorrendo le strade secondarie che compongono il suo luogo dell’anima.

L’arrivo a Finisterre

«Sono tante le ragioni per cui si intraprende questo Cammino – spiega Ilaria Ruzza -. Ognuno ha le proprie, alcune molto gravi, come la malattia di un familiare, la separazione dal proprio coniuge, la perdita di un figlio, altre meno dolorose, ma in ogni caso “pesanti” per il nostro cuore. Sono ragioni intime e personali, tanto che non sempre vengono condivise, e se succede, succede con pochissime persone che si incontrano lungo la strada. A volte, però, è più facile aprirsi da sconosciuti e tra sconosciuti, sulla scorta di una chimica che si crea in quel determinato momento, e quindi si condivide il peso che portiamo sulle spalle… oltre allo zaino. A corollario, ce ne sono tante altre, di motivazioni per partire: nel mio caso, ad esempio, avevo già percorso le ultime 13 tappe del Cammino l’estate scorsa, e mi è venuta la “Santiaghite”, una sorta di “malattia” che colpisce quasi tutti i pellegrini e che ti porta ad innamorarti del percorso come metafora della vita: un passo davanti all’altro, perché non puoi pensare al chilometro successivo se in quell’istante stai appoggiando male il piede. È un viaggio interiore, che si compie mettendo in pratica, se vogliamo, anche un atto di profondo egoismo, indossando un guscio protettivo per staccare da tutto e da tutti. Non sono reperibile, “lavori in corso su me stessa”, ed è qualcosa di estremamente pacificante, appagante e rilassante. Nonostante lo sforzo fisico, sotto un caldo veramente soffocante. Per me non era una questione di atletismo, ma non avevo un numero di giorni sufficiente per percorrere l’intero Cammino seguendo le tappe standard, dovevo tornare al lavoro».

Ilaria Ruzza è rientrata a Biella da poco più di una settimana e in questi giorni sta vivendo il classico straniamento di chi “non è più lì ma non è nemmeno del tutto qui”, quel limbo che, al ritorno da un viaggio, ci dà modo di riordinare le idee, permettendo alle emozioni di sedimentare, per arrivare, infine, a comprenderle e metabolizzarle appieno.

«Mi porto a casa – conclude Ilaria tracciando il suo bilancio a fine Cammino – uno strascico emotivo di pace ed equilibrio che penso di non aver mai provato prima nella mia vita, tanto che ho già pianificato il prossimo Cammino programmando le tappe in modo da poterle percorrere con le mie tempistiche ridotte. Tornando indietro con i pensieri, a quando ho avuto molto male alla gamba per un infiammazione al tendine, non ho mai pensato nemmeno per un momento di arrendermi. Quando non c’erano le gambe, c’era la testa, e viceversa. Per una persona estremamente organizzata come me, il grande insegnamento del Cammino è quello di imparare a vivere l’hic et nunc: lungo le mie 25 tappe mi sono accorta di essere riuscita a dare valore a quel passo dopo l’altro, alle priorità dettate dal mio corpo e dai miei pensieri. In particolare, quando ho avuto il problema alla gamba, ho capito che dovevo fermarmi per poi poter continuare. E che fermarmi non era assolutamente una perdita di tempo, ma era funzionale a proseguire e ad arrivare fino in fondo. L’insegnamento è proprio questo: capire che ogni tanto bisogna fermarsi, senza pensare che sia una perdita di tempo, perché il tempo “perso” lo si recupera dopo».

Questa è l’antica saggezza che si apprende lungo il Cammino di Santiago, un itinerario che dal IX secolo ad oggi accoglie e accompagna chiunque abbia voglia, prima di tutto, di percorrere le strade che portano alla conoscenza di noi stessi. Forse, la forma di sapere più prezioso che esista…

 

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