Covid-19 mina alle fondamenta capitalismo e liberismo. C’è un nuovo paradigma: l’economia fondamentale

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Quante volte da quando nel nostro Paese è arrivata l’epidemia da Covid-19 (è stata dichiarata pandemia dall’Oms quando già l’Italia era alle prese col virus) abbiamo pensato, sentito dire o letto che dopo questo flagello nulla sarà più come prima?

Tante. Sicuramente. Il Coronavirus ci ha costretto a fermarci, a pensare. A guardare dietro di noi, invece di guardare sempre avanti e correre per raggiungere obiettivi che credevamo imprescindibili e che, adesso, al contrario, molti di noi hanno derubricato ad inutili pleonasmi.

Abbiamo riscoperto la solidarietà, abbiamo compreso il valore di una semplice passeggiata all’aperto, senza meta, solo per svagare la mente e ritemprare i muscoli del nostro corpo. Abbiamo finalmente capito che basta un attimo, un soffio di vento per rischiare di perdere tutto che ciò che nella nostra quotidianità abbiamo sempre dato per scontato. Sbagliando.

Oggi, davanti ai nostri occhi e ai nostri pensieri, si aprono scenari che nessuno di noi avrebbe potuto nemmeno lontanamente immaginare. Il virus ha falcidiato vite umane e architetture politiche, oltre che fondamenta socio-economiche, ma adesso che tutti noi, dopo oltre un mese di lockdown, iniziamo ad intravvedere l’inizio della cosiddetta fase 2, quella in cui dovremo imparare a convivere con la “bestia”, abbiamo anche acquisito una nuova consapevolezza.

Abbiamo capito che, forse, stavamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità, che stavamo dimenticando di prenderci cura del pianeta che ci ospita. Il nostro egoismo del “tutto e ora” ci stava spingendo verso un baratro che magari non avremmo sperimentato direttamente, ma che di sicuro avremmo lasciato in eredità a chi verrà dopo di noi, ai nostri figli, ai nostri nipoti.

Proprio in questi giorni, ci è capitato di leggere un interessantissimo articolo dal titolo “Pandemia, l’economia che serve per il dopo”. Lo ha pubblicato uno di quei giornali che la becera e litigiosa destra italiana, renitente alle proprie responsabilità politiche, considera… spazzatura.

In calce al pezzo, la firma è del Collettivo per l’Economia Fondamentale, una rete di ricercatori europei attiva fin dal 2013. Ne riportiamo alcuni passaggi, stralci che consideriamo salienti e che rappresentano il paradigma economico-sociale proposto dal Collettivo.

“L’emergenza sanitaria sta mostrando platealmente quanto sia importante ripensare la gestione delle attività economiche che rendono sicura e degna la vita quotidiana. Sono quelle attività che oggi, nell’imperversare della pandemia, non si possono fermare: la sanità, l’istruzione, i servizi di cura, la produzione/distribuzione alimentare, la produzione/distribuzione di energia e gas, le telecomunicazioni, trasporti pubblici, l’edilizia residenziale, i servizi bancari di base.

Nell’emergenza ne riconosciamo chiaramente i contorni e l’importanza: medici e infermieri diventano eroi; trasportatori e netturbini diventano lavoratori essenziali. Ma negli ultimi trent’anni l’economia fondamentale è stata logorata da scelte politico-economiche discutibili, di cui oggi paghiamo le conseguenze: tagli, riduzioni di personale, privatizzazioni, esternalizzazioni. Trascurata dalla politica e dal pensiero economico, tutto concentrato sui settori ‘competitivi’, l’economia fondamentale è diventata, da un lato, il bersaglio privilegiato delle politiche di austerità; dall’altro, un terreno fertile per modelli di business orientati alla massimizzazione dei rendimenti attraverso la riduzione esagerata dei costi (innanzitutto del lavoro) e la cattura di risorse pubbliche.

Da questa crisi le società europee potranno risollevarsi soltanto se sapranno ricostruire il benessere sociale su robuste infrastrutture collettive, su quei complessi sistemi socio-tecnici – nei quali è occupata quasi la metà della forza-lavoro, su scala europea – che rendono sicura e degna la vita quotidiana”.

Il Collettivo ha quindi individuato ed elaborato una piattaforma in dieci punti, una sorta di decalogo “per la rinascita” pubblicato in tre lingue. Non si tratta di ricette, ma di questioni prioritarie “da affrontare con competenza e con una rinnovata capacità di costruire alleanze politiche”.

“Fra le questioni prioritarie, estendere la responsabilità collettiva nel campo delle attività sanitarie e di cura, eliminando i divari regionali e rafforzando la medicina preventiva e di base; mettere in campo politiche abitative innovative e una transizione energetica verso modelli sostenibili. Attivare sistemi alimentari locali e porre regole stringenti per la grande distribuzione; applicare un principio di ‘licenza sociale’ a tutte le attività economiche fondamentali; promuovere una riforma fiscale fortemente progressiva (esattamente ciò che le destre NON vogliono!) per rinnovare le infrastrutture del benessere sociale; disintermediare gli investimenti privati destinandoli direttamente ad attività fondamentali a remunerazione contenuta e costante; accorciare le catene di approvvigionamento dei beni fondamentali; sviluppare piani urbani e regionali basati più su obiettivi di vivibilità che su imperativi di competitività.

In un’epoca in cui i grandi partiti sono frantumati e l’elettorato imprevedibile, rinnovare l’economia fondamentale è un progetto che non può essere perseguito da una sola forza politica, tanto meno sulla base di leadership carismatiche e velleità sovraniste. Occorrono ampie alleanze per il cambiamento, che coinvolgano partiti progressisti e ambientalisti, organizzazioni sindacali, movimenti sociali radicati nella società civile; ma anche quella parte di conservatori e liberali che riconoscono l’importanza dei beni e dei servizi collettivi.

Il debito pubblico tornerà probabilmente a livelli da dopoguerra. L’attuale governance economica, nonostante sia ampiamente screditata, tenderà a replicare un regime di austerità, che questa volta imporrebbe sacrifici senza precedenti a più di una generazione, aggravando le disuguaglianze di reddito e di ricchezza e trascurando ancora l’emergenza ambientale e climatica. Conviene quindi impararla subito, la lezione della pandemia: fare emergere il più ampio consenso possibile intorno alla necessità di una solida infrastruttura collettiva per il benessere sociale, finanziata da una leva fiscale seriamente redistributiva”.

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