«Il Covid non è solo polmonite: il virus può portare ad altre gravi conseguenze, anche più drammatiche e rapidamente letali». Il dottor Graziano Gusmaroli, direttore della struttura di Neurologia e del dipartimento di Medicina e Urgenza dell’Asl di Biella, ripercorre due complessi casi di coronavirus curati nei mesi scorsi al “Degli Infermi” di Ponderano.
Si tratta di episodi di infezione che hanno causato il ricovero in condizioni critiche di due soggetti ultrasettantenni, poi trattati con l’utilizzo di una terapia basata sulle immunoglobine. Una terapia non convenzionale nell’ambito della cura di pazienti Covid, che ha portato alla guarigione dei due ricoverati e alla loro dimissione. A raccontare i fatti sono Gusmaroli e la dottoressa Emanuela Schintone, dirigente medico di Neurologia.
Il primo caso si è verificato durante la prima ondata di Covid, nel marzo 2020. Il soggetto, un uomo di una settantina d’anni, affetto da miastenia gravis con debolezza muscolare e complicazioni muscolari respiratorie, era stato ricoverato per una polmonite causata dal virus con una grave insufficienza respiratoria. Il soggetto inoltre presentava alti fattori di rischio. L’esito era quindi incerto.
«Abbiamo scelto di praticare una terapia immunosoppressiva con immunoglobine sulla quale, in quel momento, i precedenti su soggetti Covid nella letteratura medica internazionale erano solo due – spiega Gusmaroli -. Visto il grave quadro clinico del paziente, abbiamo dovuto prendere una scelta velocemente. In base ai due casi precedenti e alla nostra esperienza sulla miastenia abbiamo ricoverato l’uomo in Rianimazione, forzando una terapia ventilatoria non invasiva, utilizzando il casco respiratorio ma senza procedere all’intubazione».
«Lentamente nel soggetto i parametri di ventilazione e respirazione hanno iniziato a migliorare, ottenendo una guarigione nell’arco di circa 40 giorni – racconta il dottore -. Attualmente il paziente è in una condizione clinica come quella precedente l’infezione Covid e sta proseguendo con una terapia immunitaria».
Il secondo caso, risalente allo scorso novembre, ha riguardato invece una donna di circa 75 anni. La paziente, che aveva contratto un contagio da Covid lieve (senza il verificarsi di polmonite), è stata colpita da un’encefalomielite innescata da anticorpi da virus, caratteristica che si può manifestare a 7-14 giorni dall’infezione.
La donna, in un secondo momento, ha quindi palesato disturbo di coscienza, tetraparesi associata a crisi epilettiche e allucinazioni visive terrifiche. La paziente, nel frattempo ricoverata dopo un accesso al pronto soccorso per un’altra problematica, perciò non è stata più in grado di muoversi.
«Ipotizzato il quadro clinico abbiamo deciso di procede alla terapia immunitaria con immunoglobine, come nel caso di qualche mese prima – ricordano sempre Gusmaroli e Schintone -. La paziente ha gradualmente iniziato a star meglio sia dal punto di vista cognitivo che motorio ed è stata trattata con due cicli di immunoglobine a distanza di tre settimane. Dopo essere stata trasferita in totale in cinque reparti, è quindi tornata a casa, con indicazione di riabilitazione neuromotoria».
I due dottori dell’Asl di Biella tengono quindi a sottolineare un concetto: «Il Covid non è solo polmonite, come dimostrato in particolare dal caso di Adem (encefalomielite acuta disseminata), trattato con una terapia non convenzionale analogamente all’episodio del soggetto con miastenia, infatti il virus può avere anche conseguenze più drammatiche e rapidamente letali».
Gusmaroli e Schintone concludono: «Quello che ci è successo è uno spot per la medicina di precisione, la medicina che deve adattare gli strumenti a disposizione al paziente. Ciò che comporta la “precision medicine” è che il paziente viene prima di tutto, e pertanto dev’essere curato secondo le sue caratteristiche».
c.s.