Libri. Cronaca “nera” e legittima difesa, “Quinto: non uccidere” di Paolo La Bua è un evergreen

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Le cronache nazionali, ce lo dicono le statistiche, ciclicamente riportano fatti che hanno attinenza con un libro uscito già da qualche anno, ma che proprio con l’avallo della “nera” torna ogni volta di grande attualità. L’autore di quel testo è il collega giornalista Paolo La Bua, oggi corrispondenta da Biella per Il Corriere della Sera. “Quinto, non uccidere” è il titolo del volume pubblicato da Lineadaria Editore nel 2015 (180 pagine, 15 euro).

I nuovi media, oggi, danno ai fatti di cronaca nera un rilievo talmente primario da farli diventare “virali” nel giro di pochissimi minuti dalla comparsa del primo articolo online. Di recente, è successo con l’omicidio di Pavone Canavese, piccolo centro alle porte di Ivrea, in cui un tabaccaio ha ucciso con la sua pistola (legalemente detenuta) un malvivente che insieme a due complici era entrato, a notte fonda, nel suo esercizio commerciale.

Il tema della legittima difesa è diventato oggetto di campagna elettorale sia a livello nazionale che locale, ma la nuova legge in materia, annunciata come una sorta di rivoluzione copernicana dell’istituto giuridico, in realtà non si discosata poi così tanto dal passato. D’altro canto, su una partita del genere si giocano “interessi” che afferiscono a motivazioni prima di tutto etiche, oltre che giuridiche naturalmente.

Su questi argomenti, abbiamo fatto una chiacchierata proprio con Paolo La Bua.

Il suo libro è tornato d’attualità…
Già, e aggiungerei: purtroppo.

Ci ricorda di cosa tratta?
Sono nove storie di persone che hanno sparato e ucciso. Soldati, uomini delle forze dell’ordine ma anche commercianti che difendevano il proprio negozio durante una rapina, o cittadini che si sono trovati dei ladri in casa. Tutte storie vere, recuperate dalla cronaca nera di mezza Italia. Ho parlato con tutti i protagonisti. Li ho guardati negli occhi e mi sono fatto raccontare.

E cosa le hanno raccontato?
Mi hanno raccontato i loro travagli interiori. Difficile riassumere. Diciamo che tutti difendono, in generale, il proprio operato. Ma tutti hanno pagato un prezzo altissimo. E maledicono il momento in cui sono stati costretti a sparare e uccidere. Nessun “Rambo”. Uomini in carne e ossa che hanno avuto processi e la vita rovinata. Altro che slogan di certa politica.

Ha seguito il caso del tabaccaio di Pavone Canvese?
Certo.

E che idea si è fatto?
Premetto che valuto molto negativamente le polemiche social, che trasformano drammatici casi di cronaca in scontri tra tifosi, robaccia da esaltati. Detto ciò, credo che i presupposti per la legittima difesa manchino nell’azione del commerciante che ha sparato al ladro, uccidendolo, anche a prescindere dalla nuova riforma voluta dal Governo.

Qual è la novità della legge, secondo lei?
Amici avvocati mi hanno spiegato che, tecnicamente, la differenza è minima. Nel senso che, comunque, ci sarà sempre un giudice che deve valutare se la difesa dell’aggredito sia stata legittima o meno, anche se avvenuta dentro le mura domestiche e durante una rapina o un’aggressione. Non è che, ora, se entra un ladro in casa mia, io gli svuoto addosso il caricatore del mio fucile, e la vicenda finisce così… Questa è appunto un’interpretazione tanto social quanto errata. È però vero che la nuova riforma riconosce come sempre legittima la difesa dentro le mura domestiche, nel momento in cui sussistono una serie di requisiti. Requisiti che appunto sarà sempre un giudice a dover valutare e che passano, tra l’altro, dal riconoscimento del turbamento emotivo della vittima alla proporzione tra difesa e offesa. In estrema sintesi: non c’è una giustificazione dell’omicidio, per fortuna, ma una comprensione maggiore delle condizioni di difficoltà psicologiche delle vittime.

Quanti casi di legittima difesa ci sono all’anno come quelli che racconta nel suo libro?
Credo non più di quattro o cinque, a livello italiano. Ma fanno rumore, mediatico, come se fossero dieci volte di più.

A Pavone Canavese c’è stata legittima difesa?
Le mie conoscenze sono legate alle cronache dei giornali e non agli atti dell’indagine. Alla luce delle ultime informazioni, mi pare di no.

Cosa le chiedono durante le presentazioni del libro?
Premessa: il libro era nato con intenti, diciamo così, sociologici: capire cosa si prova ad aver tolto la vita ad una persona. Era un’ideale prosecuzione del mio precedente volume, “Eroi per caso”, nel quale raccontavo di persone che avevano salvato la vita ad altre persone in situazioni estreme. Inevitabilmente, però, “Quinto: non uccidere” è diventato un libro sulla legittima difesa, la criminalità e la certezza della pena.

Anche perché quando fu editato, salì agli onori delle cronache il “caso Stacchio”…
In questo senso devo ringraziare l’editore di Lineadaria per il coraggio della pubblicazione. Il libro comunque non dà risposte a chi cerca facili soluzioni. Anzi. Pone domande: chi deve garantire la nostra sicurezza, il nostro fucile o le forze dell’ordine e la legge? Io non ho dubbi: lo Stato. Devo riconoscere, però, che spesso lo Stato non sa difendere i suoi cittadini. Dibattito complesso, che si verifica tutte le volte in cui vado in giro a parlare del mio libro.

Il tema della sicurezza, anche a Biella, è stato centrale nella campagna elettorale.
Una volta la settimana vado a pranzo da mia mamma. Quando mi congedo, mi dice, sempre: “Mi raccomando, stai molto attento…”. Io insisto nel dirle che siamo il capoluogo di provincia più sicuro d’Italia. Lei mi dice sì, ma la volta successiva mi invita alla massima prudenza una volta in strada.

È il tema della sicurezza percepita.
Certo. Quattro barboni e quattro stranieri ai giardini Zumaglini e certi politici parlano di emergenza. Una forzatura.

Come se ne esce?
Agli Zumaglini è semplice: frequentandoli. Io lo faccio tutti giorni, abitando nei paraggi. Nessun coraggio particolare, solo senso civico: il parco è il cuore della mia città, è di tutti, non mi lascio espropriare. Voglio dire: non cedo al “ricatto” di qualche emarginato, che certo non rappresenta uno bello spettacolo, né alla paura che qualcuno mi vuole mettere addosso. Qualcuno in campagna elettorale ha detto: riempiamo i giardini di eventi, di feste, di momenti di sport e di socialità. Mi è parsa un’ottima idea.

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