Democratiche Biellesi e Primo Maggio. “Italia fanalino di coda per la parità di genere, e il Piemonte fa di peggio: è anacronistico”

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In vista del 1° maggio, Festa del lavoro e dei lavoratori, le Democratiche Biellesi hanno inviato ai media locali un comunicato stampa molto interessante che tratteggia il cosiddetto “gender gap italiano” rispetto agli altri Paesi UE. Un ritardo, quello italiano, che ci colloca tra i fanalini di coda d’Europa. Due indicatori su tutti: 1) lavoro; 2) potere (ovvero la presenza, molto scarsa, del gentil sesso in politica). In entrambi i casi, le donne italiane pagano un pesante dazio.

Come se tutto questo non bastasse, il comunicato stampa delle donne dem pone giustamente l’accento anche sulle politiche regionali. Quelle della Regione Piemonte sono quanto meno distopiche, “anacronistiche”, le definisce Giovanna Prato, firmataria del documento.

In Piemonte, infatti, il meraviglioso super assessorato al Lavoro e all’Economia, peraltro affidato ad una donna biellese, non ha ancora messo mano, dopo oltre un anno (evidente caso di narcolessia amministrativa), al regolamento attuativo della legge sulla parità salariale emanata dal nostro Consiglio regionale e approvata sulla base di un accordo politico ampio. Piccolo particolare: doveva essere promulgato entro 60 giorni…

E non è tutto, ma preferiamo non dilungarci, lasciando alle nostre lettrici e ai nostri lettori il “piacere” di scoprire una serie di altre magagne, tutte “Made in Piemonte”!

Di seguito il comunicato stampa.

A che punto è il diritto al lavoro delle donne in Italia, in Piemonte? Non proprio dove dovrebbe essere. I dati elaborati recentemente dalla Camera dei Deputati collocano l’Italia tra le ultime della classifica europea per eguaglianza di genere (- 4.2% rispetto alla media UE), ed evidenziano come il divario maggiore esista proprio nel campo del “lavoro” (- 63,7 punti rispetto alla media UE, con un’occupazione femminile media attorno al 50%), seguito da quello del “potere”, cioè della politica, (- 52 punti rispetto alla media UE).

In sintesi, le donne sono fuori dai contesti in cui si produce e fuori dai contesti in cui si decide: questo è il quadro, sconfortante, che esce dalla fotografia del nostro Paese. Nel mondo del lavoro le donne, anche se mediamente più qualificate, faticano a trovare un impiego, i loro salari sono inferiori a quelli maschili del 20, talora del 30% e, dopo il primo figlio, al massimo dopo il secondo, escono dal mondo del lavoro, per non rientrare più.

Il danno economico di questo “gender gap” è enorme.

Per le donne stesse e per le loro famiglie, innanzitutto. È persino banale dire che i nuclei familiari monoreddito, specie in contesti inflazionistici come quelli che ci attendono, saranno sempre più poveri. Le donne godranno inoltre di pensioni ridicole e, se non sono sposate, non beneficeranno neppure della pensione di reversibilità del convivente.

Alzando lo sguardo a livello “macro”, è l’intera Nazione a soffrire pesantemente di questo divario. Secondo le stime di Banca d’Italia, se l’occupazione femminile salisse al 60% il PIL italiano crescerebbe di ben 7 punti percentuali, dunque, il gap lavorativo e salariale delle donne costa al nostro Paese diversi miliardi di euro.

La politica ha tentato di dare alcune risposte a questi problemi, anche grazie al PNRR, ma restano largamente insufficienti. Questo anche perché le donne in politica sono troppo poche, e le poche che la animano non fanno “lobby” e, spesso, replicano approcci e dinamiche tipicamente maschili.

Un esempio su tutti: benché il super assessorato al lavoro e all’economia del Piemonte sia in mano ad una donna, da quasi un anno attendiamo il regolamento attuativo della legge sulla parità salariale emanata dal nostro Consiglio Regionale e approvata sulla base di un accordo politico ampio (doveva essere promulgato entro 60 giorni).

Del resto, il Piemonte si segnala per essere un vero e proprio fanalino di coda delle Pari Opportunità: siamo l’unica Regione a statuto ordinario senza la previsione della doppia preferenza di genere nella legge elettorale, e, anche per questa ragione, abbiamo una presenza femminile in Consiglio regionale del 15.7%, contro il 24.7% della vicina Lombardia, il 22.3% della media nazionale e il 34.2% della media UE.

Anche sul fronte delle politiche attive a sostegno della famiglia, la nostra Regione brilla per iniziative anacronistiche e di pura facciata; solo pochi giorni fa il Consiglio regionale ha approvato una legge che stanzia 400mila euro a favore delle associazioni pro-life per dissuadere le donne dall’abortire. L’idea è quella di erogare una “mancetta” di 4mila euro ad ogni donna che rinuncerà all’aborto.

È questo il sostegno di cui le donne in difficoltà hanno bisogno per tenere il proprio bambino? In questo si sostanzia l’attuazione di quella parte della legge sull’aborto che prescrive azioni concrete a sostegno della maternità? Non credo proprio.

Le donne hanno bisogno di politiche attive che favoriscano la loro inclusione nel mondo del lavoro, hanno bisogno di parità salariale, hanno bisogno di una scuola pubblica che funzioni a tempo pieno, hanno bisogno di essere sostenute da un contesto sociale dove la genitorialità condivisa tra padre e madre diventi finalmente un valore e costituisca la regola. E hanno bisogno, ultimo ma non per ultimo, di maggior spazio in politica.

“1° maggio, su coraggio!”, canta una vecchia canzone, e allora troviamolo, il coraggio di cambiare il contesto sociale di questo Paese, perché quello attuale è del tutto inadeguato, oltre che anacronistico.

La Referente Democrazia Paritaria delle Democratiche Biellesi
Giovanna Prato

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