Biella. Dove il solito #bimbominkia della Lega, sedicente esperto di politica intergalattica, esprime solidarietà al popolo israeliano

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Sfogliando i giornali locali, nei giorni scorsi, ci è balzato all’occhio il classico #bimbominkia-pensiero fortunatamente, e opportunamente, relegato nelle “lettere alla redazione” o “al direttore”. Quasi a voler lanciare una sorta di monito al lettore per dire: “se vuoi leggere queste boiate, devi proprio andartele a cercare”.

Abbiamo preferito lasciar sedimentare il ricordo di tanta deficienza (nell’etimo latino del termine), e pur avendo letto solo il titolo, dal momento che il seguito era scontato (dopo le prime tre righe eravamo già scossi da violenti conati vomito), speravamo che la stratificazione delle notizie successive ci portasse all’oblio degli imbecilli.

Purtroppo non è successo, quel tarlo, quel maledetto retropensiero continuava a girare più o meno vorticosamente tra il lobo temporale e occipitale, segnatamente dalle parti dell’ippocampo. Infastidendoci. Come un brusio di sottofondo che disturba le frequenze dell’intelletto, posto che ce ne sia almeno un briciolo.

Ebbene, quel retropensiero, prima o poi, doveva uscire. Abbiamo ritenuto di liberarlo oggi.

Eccolo.

Nel solito compendio trash, un pastrocchio di propaganda destrorsa, nazionalista, razzista e suprematista con una spruzzata, avvolgente, di profondissima ignoranza, il noto #bimbominkia della Lega biellese manifestava solidarietà al popolo d’Israele impegnato nella sacrosanta lotta contro il terrorismo palestinese.

Come sempre, quando non si sa niente, e meno ancora si capisce, il silenzio dovrebbe sempre essere la regina di tutte le opzioni. Ma il virgulto del Carroccio biellese, dopo quasi 24 mesi passati in Consiglio comunale a collezionare sberleffi da parte di chi è costretto ad ascoltare le sue ridicole concioni, non ha ancora imparato la lezione. E a questo punto e difficile ipotizzare che possa mai riuscirci…

Quando ci si atteggia ad esperti di politica internazionale, e soprattutto quando si parla di conflitto israelo-palestinese, bisogna veramente andarci con i piedi di piombo. E sapere di cosa si parla. Non si può fare affermazioni per sentito dire, di terza o quarta mano, spacciandole per proprie. Meglio informarsi, studiare.

L’Eisenhower nato ai piedi del Mucrone, per motivi anagrafici, non ha vissuto né la Guerra dei sei giorni (1967), né la prima intifada (1987), ed era ancora attaccato al biberon quando il 28 gennaio del 2000, a seguito dell’ennesima provocazione israeliana, scoppiava a Gerusalemme la seconda intifada.

Poi, ad esempio, bisognerebbe conoscere la composizione della Knesset (il parlamento israeliano), e sapere che la seconda voce di bilancio per importanza in Israele è quella che ogni anno viene destinata alla costruzione di nuovi insediamenti nei Territori.

Lo statista in calzoncini corti, indottrinato alla scuola di politica della Lega, dovrebbe altresì sapere che il fronte degli israeliani contrari alla guerra e alla brutale repressione contro i palestinesi è composto per lo più da suoi coetanei. Ragazze e ragazzi che fin da prima dell’inizio di quest’ultimo conflitto si sono mossi in solidarietà ai palestinesi del quartiere arabo di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme.

Hanno dai 16 ai 30 anni e sfidano l’esercito del proprio Paese perché credono nell’integrazione, e sono contrari alla politica di repressione e apartheid che Israele continua da decenni a portare avanti nei confronti del popolo palestinese.

«Ci siamo scagliati contro quell’assalto immorale di un luogo sacro, e ora ci rivoltiamo contro questa guerra assurda a Gaza», affermava giorni fa Yuval a proposito dell’invasione, ad opera dell’esercito israeliano, della moschea di Al Aqsa.

Atalya è una giovane israeliana che ha rifiutato di prestare il servizio militare obbligatorio. Lei non ha dubbi in proposito: «Quello che i militari hanno fatto alla spianata delle moschee è orrendo, perché un luogo sacro non si profana mai, soprattutto se lo si fa per provocare una reazione e innescare la scintilla della guerra».

David Sheen è un giornalista israelo-canadese che collabora con Haaretz, quotidiano israeliano fondato nel 1919: «La società è spaccata tra chi è a favore dell’apartheid e chi invece vorrebbe portare avanti la strategia di due popoli-due Stati. Purtroppo, però, negli ultimi tempi l’equilibrio si è totalmente sbilanciato a favore della destra e le brutalità sono diventate quotidiane, anche prima di quest’ultimo conflitto».

Quindi, mentre in Israele moltissimi giovani, e il mondo della Cultura, sono contro la destra al potere, e manifestano per l’integrazione e la pace, a Biella abbiamo un deficiente (sempre nella summenzionata accezione latina), che niente sa e meno capisce, ma che esprime solidarietà al popolo israeliano.

NOT IN MY NAME.

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