#ADBiella. Il terzo appuntamento di Digital Humanities attiva il “circuito del piacere” e “smacchia” la reputazione digitale

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La reputazione è l’opinione generale, positiva o negativa, di cui gode una persona, un ente o un’istituzione. Si forma sulla base dei pareri che concorrono alla sua definizione e che costituiscono nel loro insieme il giudizio su quella persona, ente o istituzione. Una volta si era soliti dire che la nostra reputazione ci precede.

Questo è ancor più vero oggi, perché la rete amplifica esponenzialmente il concetto. Positiva o negativa che sia, la nostra reputazione digitale è comunque il nostro biglietto da visita. Una “carta d’identità” che potenzialmente può raggiungere chiunque, e ovunque. Ergo, bisogna prestarvi particolare attenzione.

Sul web c’è un po’ di tutto, anche informazioni che ci riguardano e che magari sono vecchie, o semplicemente non ci rappresentano più. Come anche informazioni private che vorremmo tenere celate. Curare la propria reputazione digitale vuol dire fare in modo che in rete si possano trovare solo le informazioni sul nostro conto che noi vogliamo diffondere.

Tutte le altre possono essere eliminate, con le buone o con le cattive (ad esempio possiamo servirci di un legale per chiedere di eliminare determinati contenuti se allo scopo non è bastata una nostra richiesta).

I social, giusto a titolo esemplificativo, visto che più o meno tutti “i naviganti” li utilizzano, si nutrono di informazioni gestite da algoritmi. Anche sui social network, quindi, è necessario agire consapevolmente per salvaguardare la nostra “buona fama” digitale. Stesso discorso, con le debite differenze di “ambiente”, vale per i motori di ricerca.

La gestione reputazionale non è una semplice ubbia, ma una vera e propria scienza, nata negli States circa vent’anni fa. Curare la propria immagine (personale o di brand) è, di conseguenza, un lavoro. Ecco perché è meglio gestire due o tre canali, ma bene, in modo continuativo e performante, piuttosto che averne dieci e lasciarli andare alla deriva nel mare della rete.

“Consapevolezza digitale: cura della propria identità digitale, benessere e disconnessione” è stato il titolo del terzo modulo di Digital Humanities (#dh2021), il corso online organizzato da Agenda Digitale Biella con l’azione #biellaimpresa, che si è tenuto martedì 25 maggio.

Dopo una serie di relatori, è arrivata finalmente la volte delle relatrici! Che, come i colleghi maschi, non hanno deluso le aspettative dei tanti iscritti. Rosanna Perrone (consulente strategico in Marketing e Comunicazione Digitale) e Monica Bormetti (psicologa del lavoro, formatrice e coach su smart working e benessere digitale), hanno passato al setaccio tanti aspetti del mondo digitale che, con i loro risvolti pratici, possono migliorare non solo la nostra qualità della vita in rete, ma anche offline.

Perché fatalmente arriva un momento in cui bisogna disintossicarsi da questa esperienza così totalizzante e pervasiva che accomuna giovani e adulti. C’è un mondo fuori dal web! A volte sembra che quasi ce ne dimentichiamo. Allora dobbiamo imparare a capire quando è ora di fermarsi, di dire basta e scendere dalla giostra.

Secondo un recente sondaggio, il 66% degli utenti del web si dichiara in burnout, ovvero stressato dalla rete. Già, ma si dà anche caso che il 58% degli intervistati abbia candidamente ammesso di controllare la posta elettronica dopo le 23…

Quindi, se da un lato ci sentiamo irretiti dalla rete – ci si consenta il gioco di parole -, dall’altro siamo noi i primi a stressarci perché ricorriamo al web anche in momenti in cui potremmo (e dovremmo) fare altro. Una specie di sindrome di Stoccolma adattata al mondo digitale, a discapito di quello offline.

Quante volte, ad esempio, ci capita di controllare il cellulare anche se non lo abbiamo sentito suonare, vibrare o lo abbiamo visto illuminarsi, se lo abbiamo silenziato? Tante, troppe. Ma in pochissimi sanno perché compiamo questo gesto apparentemente immotivato. La risposta arriva dalle neuroscienze: in questi casi si parla di “rinforzo variabile”.

In poche parole, è stato dimostrato che il nostro cervello, quando stiamo per fare qualcosa che ci piace (compraci un gelato o prendere in mano il nostro smartphone), produce dopamina, un neurotrasmettitore che attiva il cosiddetto “circuito del piacere”. Ecco, alla fine, è tutta questione di piacere.

Il cervello tende a ripetere un’azione che attivando la dopamina ci procura benessere. Tutta colpa dell’ippocampo, che memorizza lo stato di benessere e quindi tende a riproporlo senza che ce ne rendiamo conto.

Forse, a ben vedere, questa potrebbe essere anche la spiegazione del perché tanta gente (di età, professione ed estrazione sociale disomogenea) segue fedelmente i webinar di #ADBiella. Probabile che servano a produrre dopamina e ad attivare il circuito del benessere psicofisico.

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